lunedì 13 agosto 2012

Maledette frontiere!


Quattordici ore di dogana! Terrificante. E se non sono stato chiaro, ve lo ripeto scandendo pure le sillabe: ter-ri-fi-can-te! Dopo una esperienza del genere, sposterò "Il processo" di Franz Kafka nello scaffale dei neo realisti. La frontiera tra il Kasakistan e l'Uzbekistan si è rivelata un incubo degno di Josef K. E dire che la giornata era cominciata nel migliore dei modi. Eravamo pure convinti di essere in anticipo sui tempi e ce la siamo presa bella comoda. Sveglia alle 8, colazione, giretto per Shymkent in cerca di un caffè con internet point per postare le nostre disavventure sul deserto, e partenza verso il confine con l'Uzbekistan, a pochi chilometri di distanza, con l'intenzione di arrivare a Taskent nel primo pomeriggio. Il giorno dopo, lunedì mattina, vogliamo recarci di buon'ora all'ambasciata tajika a chiedere il visto di ingresso per Dushanbe, l'ultima tappa della Gengis Khar.

Shymkent è una città ai margini del deserto, con gli orizzonti perennemente offuscati dalla sua sabbia. E' caratterizzata da forti influssi cinesi. Non presenta attrattive particolari se non proprio quella di essere ai margini del deserto. Il che non è una cosa da poco, se siete prima passati per il deserto!
Verso est, verso il confine, il paesaggio è radicalmente diverso quello rivolto all'interno del Paese. Gli orizzonti sfumano in avvallamenti coperti di erba a chiazze verdi e brune. Durante la stagione delle piogge questo deve essere il posto più verde del mondo. C'è anche qualche fila di alberi piantati lungo una carreggiata che appare in buone condizioni. Due veri lussi da queste parti. Troviamo anche un po' di traffico, addirittura, anche se non mancano i consueti carretti stipati di fieno guidati da bambini e trainati da asini pazienti. Mandrie e greggi sorvegliati da pastori a cavallo, pascolano sullo sfondo e, non di rado, si piazzano sulla carreggiata costringendoti ad una gimkana tra mucche e vitelli.
Arriviamo alla frontiere alle tre del pomeriggio. Siamo a soli sette chilometri da Taskent e siamo convinti di avercela quasi fatta. Qui arriva la prima sorpresa. Il valico è chiuso alla auto. Dobbiamo scendere 100 chilometri più a sud e provare là. Pazienza, ci diciamo. Andiamo a sud. E qui comincia l'avventura da record (a quanto ci risulta sinora il team della Silk Road Race più sfigato ci ha impiegato "solo" 11 ore. Dilettanti!)
All'inizio tutto bene. Addirittura la procedura ci appare veloce. Casca l'asino quando un doganiere kasako si accorge che la nostra carta di immigrazione è scaduta di un giorno e non l'abbiamo fatta vidimare dalla questura. Immediatamente ci sequestrano i passaporti e ci portano in un ufficio dove un solerte - e piuttosto tardo - militare comincia a compilare un verbale. Ci impiega solo quattro ore. E noi là ad aspettare. Nessuno parla inglese. Qualche spiegazione ci viene da una guida locale che mastica un po' di francese. In Kasakistan, come in tutti i Paesi del mondo (anche se in Italia qualcuno ha cercato di cambiare le carte in tavola) l'irregolarità nel permesso di soggiorno - che gli incolti definiscono in modo erroneo "clandestinità" - è un reato civile e non penale. Basta pagare una multa di 100 dollari a testa e siamo a posto. Va bene, diciamo. Riconosciamo di aver sbagliato e siamo pronti a pagare. Ma non è mica così facile, eh? La multa va versata non in frontiera ma in un apposito ufficio che sta in una paese là vicino. Inutile supplicare che stiamo facendo un Charity Rally, che è già notte, che non sappiamo dove sia questo paese e questo ufficio. L'unica cosa che otteniamo è di farci accompagnare.
Sono le otto e mezza di sera quando saliamo su uno scassattissimo pulmino guidato da un soldato ragazzino che lo tira a manetta bruciando tutte le precedenze. Dentro non ci sono sedie. Ci tocca stare attaccati alle maniglie, chinati e tenere le ginocchia molleggiate per parare i salti e le buche. Sale anche un altro militare che si sistema nel posto davanti dopo aver buttato gli stivali dietro, dove stiamo noi. Ci dice che il paese è vicino. Una quarantina di chilometri appena. E' talmente vero che 50 chilometri dopo vediamo un cartello stradale che annuncia il paese a 26 chilometri. Un'ora e quaranta minuti dopo, il pulmino entra in una caserma militare. Non è mai un buon segno quando è l'esercito ad occuparsi dei problemi dell'immigrazione (come di qualsiasi altro problema). Ci scortano dentro una galera; sbarre, manganelli, catene, lucchetti e poveri disgraziati imprigionati. Un paio di militari, uguali a tutti i miliari del mondo, ci compila un altro verbale e alla fine ci tocca firmare una decina di documenti di cui non capiamo una sola parola. La cosa non è per niente legale ma vai a protestare! Alla fine paghiamo e salutiamo. Ci attendono altre due ore di sbattimento. E non è finita qui. Passata - se dio vuole!- la dogana kazaka, ci attende quella uzbeka. Un'altra collezione di rompimenti inutili e dannosi a tutti i fini civili. Ne usciamo alle tre e mezza di notte. Facciamo un centinaio di metri ancora intontiti per quello che abbiamo passato e... troviamo un'altra sbarra chiusa. Tre soldati ci chiedono ancora quegli stessi passaporti che abbiamo mostrato ad almeno dieci funzionari cento metri prima! Poi fanno uscire Angelo che guidava dalla macchina e lo portano in una garitta. Sollevare la sbarra, gli dicono, costa 10 dollari. E' ovvio che è una tangente. I tre soldati sono pure ubriachi puzzano di alcol come una distilleria clandestina ma sono armati di pistole e di kalashnikov. Sono le tre e quarantacinque di notte. Non ce la facciamo più. Paghiamo e la sbarra viene sollevata. Benvenuti in Uzbekistan.

2 commenti:

  1. cosa sono 13 ore in confronto a quello che avete passato anche xche nn e che dovete tornare a casa in fretta x andare al lavoro in quanto finite ferie o nooooooooooooooo mi sembra di vedervi tu ric che ti lisci la barba e bottazzo calmo o in.......o grandiiiiiiiiiiiiiiiii vi aspetto ecc. ecc.

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  2. mi pare che si corrano troppi rischi! Comunque, complimenti ragazzi!!!

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