martedì 21 agosto 2012

L'importante è partire (se ci si riesce)

I guai non finiscono mai. L'intenzione era quella di chiudere i nostri post giornalieri con quello del nostro arrivo a Dushanbe. Cosa poteva mai capitarci sulla via del ritorno se non qualche noiosa ora di attesa nei vari aeroporti? Ed invece... mai dire mai.
E dire che tutto era pronto e sistemato da tempo. Biglietti acquistati, orari controllati, visti... vistati. La mattina lasciamo quella sottospecie di topaia dove alloggiavamo a Dushanbe e che ogni notte ci regalava qualche imprevisto sul genere di allagamenti, cessi che tracimavano, letti che si sfondavano sotto il nostro peso, cortocircuiti fiammeggianti, e simili meraviglie.
Siamo abbondantemente in orario e l'aeroporto non è distante. Ci arriviamo con buon anticipo. La struttura è di uno sgarruppato da dare i brividi (e non avevamo ancora visto gli aerei). Prima che l'edificio ci crolli in testa andiamo al check. E qui arriva la prima sorpresa. Un impiegato guarda i nostri biglietti e poi i nostri passaporti. Poi ancora i biglietti e i passaporti. Quindi chiama un superiore. La procedura si ripete per altre tre o quattro volte. Passaporti, biglietti, passaporti e poi un altro superiore. Intanto i tempi cominciano a farsi stretti. Possiamo imbarcare le valigie o no? Ci dirottano su uno sportello riservato. Ancora passaporti, biglietti e passaporti. Fino a che un funzionario che parla inglese come uno che ha seguito solo le prime due lezioni del corso ci dice "Nyet!". Voi rimanete qua. La discussione va avanti un'ora tra noi che protestiamo in tutte le lingue conosciute e loro che ci rispondono nell'unica che conoscono. Alla fine par di capire che non abbiamo il visto per la Russia. Eppure sia l'agenzia dove abbiamo acquistato i biglietti che l'ambasciata russa in Italia ci avevano assicurato che non serviva poiché siamo passeggeri in transito per Vienna. Loro rispondono che questo è vero per uno scalo. Ma nel nostro piano voli, gli scali in Russia sono due. Di conseguenza dovremmo fare un volo interno e in questo caso il visto è indispensabile. Per farla breve, non c'è verso di farci salire in aereo. Ma il problema non è solo questo. Domani ci scade il permesso di soggiorno in Tajikistan. Oggi è festa per la fine del Ramadan. Nessun ufficio è aperto per un rinnovo d'urgenza. Rischiamo di finire in un'altra caserma così come ci è successo in Kazakistan. Nessuno di noi ci tiene a ripetere quella brutta esperienza. E nel Paese non c'è neppure l'ambasciata italiana.

Intanto il nostri aereo è partito. Senza di noi. E sono già le due del pomeriggio. Mentre alcuni di noi rimangono a presidiare i bagagli all'aeroporto, gli altri tornano a Dushanbe per cercare un'agenzia di viaggi. Proprio vicino allo scalo ne troviamo una ancora aperta. Ci dicono che c'è un aereo che parte alle sette, fa tappa a Mosca (un solo scalo, quindi il visto non serve) e poi vola a Vienna da dove possiamo prendere un aereo per Milano.
Non abbiamo alternative. Entro mezzanotte dobbiamo uscire dal Tajikistan. Il problema a questo punto è come pagare. I biglietti costano 720 euro l'uno. In cassa comune abbiamo solo pochi somoni (la valuta locale) qualche dollaro e pochi biglietti da 50 euro. Siamo a fine viaggio e abbiamo raschiato il fondo del barile. Proponiamo le carte di credito. Niente da fare. In Tajikistan non si usano. Bancomat? Neppure. Assegni? Manco a parlarne. Bonifico tramite home banking? E che roba e? Per fortuna, un impiegato dell'agenzia si offre di scarrozzarci per tutta Dushanbe in cerca di quei pochi sportelli bancomat presenti. Un paio di noi si fa consegnare dagli amici tutte le carte con le relative pass, e parte all'avventura. Ma è proprio un'avventura. Gli sportelli sono pochi e pochi di questi funzionano. Comunicano in lingua locale ed inoltre non si possono prelevare che 800 somoni (più o meno 135 euro) alla volta. Facciamo quel che riusciamo sino al raggiungimento del tetto massimo delle carte accettate dagli sportelli. Come se non bastasse, questi erogano solo banconote di piccola taglia. Alla fine siamo tanto imbottiti di denaro in tutte le tasche che sembriamo degli zio Paperone. Ma non basta ancora. E tra un paio di ore parte l'ultimo aereo. L'ultima risorsa sono gli amici del Cesvi. Andiamo a casa loro. A Dushanbe non esistono i campanelli e ci tocca urlare davanti al loro portone. I vicini ci scambiano per dei pazzi ma riusciamo a farli uscire. Quando spieghiamo la nostra situazione, non esitano un momento ad aprirci la cassaforte dell'associazione per consegnarci i 5000 somoni che ancora ci mancavano. Da casa, salderemo il debito con un bonifico. Corriamo all'aeroporto giusto in tempo per il check in. Siamo felici. Pensiamo che il peggio sia alle spalle. Ma non abbiamo ancora visto l'aereo. Che baracca! E' un residuato dell'Aero Flot targato ancora Cccp! Ecco perché dall'Italia non potevano acquistare il biglietto! (Avevamo tentato inutilmente anche questa strada) La compagnia non è riconosciuta dall'Europa perché è - e di tanto! - al di fuori degli standard minimi di sicurezza.
Saliamo nella carlinga che cigola sotto i nostri passi attenti a non rompere niente. Il comandante è sorpreso nel vedere un gruppo di occidentali salire a bordo e ci sorride come per dire "Oggi non ne fanno più di aerei così, eh?"
La mia cintura di sicurezza non scatta e una hostess cazzuta mi ordina di annodarla. Sulle pareti ci sono quadri attaccati col chiodo che raffigurano tranquille scene campestri. Non c'è l'aria condizionata e si suda come in una sauna. Sempre l'hostess cazzuta mi spiega a gesti che l'impianto dovrebbe funzionare quando saliremo in quota. Si spera. E comunque se ci arriveremo, in quota.
Intanto la baracca si mette in moto piano piano. Il motore tossicchia e sputa fatica. Il decollo è di una lentezza esasperante. L'aereo dà l'impressione di voler arrivare sino a Mosca volando alla quota di 150 metri. Per fortuna le montagne sono lontane. Poi riesce ad alzare il muso. La baracca ce l'ha fatta anche stavolta.
Alla fine del viaggio, ce la caviamo con un danno tutto sommato minimo. La compagnia si è persa il mio bagaglio. Uno su cinque. Poteva andare peggio. Una assistente di terra mi assicura che "al 99,99%" mi sarà consegnato tutto a casa, a Venezia. Faccio finta di crederle. Intanto sono arrivato tutto intero e mi va bene così!

4 commenti:

  1. ragazzi ma che sfighe!!!! ora state bene?tornati sani e salvi? fra del bugteam!

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  2. Vi siete informati come si dice rosolio alla cannella in tajiko? Noooo?! .....
    :)

    Bentornati ragazzi.

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  3. pure io mi aggrego x il ben tornati a casa sani e salvi ora riderete di gusto ma anche questa e una ennesima avventura che vi ha fatto grandiiiiiiiiiiiiiiiiii besos

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